Alzheimer, speranza per i malati

ludi.JPGa cura di Lyudmyla Mudrokha

Una piccola speranza nella lotta contro l’Alzheimer, la più diffusa forma di demenza così chiamata dal neuropatologo tedesco Alois Alzheimer, il primo studioso della demenza senile. E’ stata pubblicata sulla prestigiosa rivista “Science” una ricerca, finanziata dal ministero della Salute e dalla Fondazione Cariplo, effettuata dall’Istituto Besta di Milano, eseguita in collaborazione con il “Mario Negri”, l’Università di Milano e il Nathan Kline Institute di Orangeburg (New York).
Tutto nasce dalla constatazione di una condizione in cui si altera un solo gene (che produce la proteina anomala alla base della malattia) su due: la proteina normale prodotta da quello sano “neutralizza” quella malata. Così la persona non si ammala. I ricercatori italiani hanno identificato tale forma mutata di beta-proteina in grado di bloccare, in vitro, la produzione delle placche amiloidi alla base della malattia di Alzheimer.
Si tratta di una scoperta alle fasi embrionali, che dovrà essere verificata sugli animali prima ancora che sull’uomo.
“Se tutto va bene – sottolinea Fabrizio Tagliavini, direttore del Dipartimento di malattie neurodegenerative dell’Istituto Besta – dovranno passare almeno cinque anni prima di poter avere un farmaco. Ma questo è già un inizio promettente per una malattia attualmente incurabile”.
L’Alzheimer, definito amaramente “il funerale perenne”, è un morbo che determina una patologia degenerativa. E’ attualmente inguaribile. La malattia è tipica dei Paesi industrializzati. Il fenomeno è causato dall’accumulo nel cervello di un frammento proteico chiamato “beta-proteina” che si aggrega generando depositi insolubili: le placche amiloidi. Le persone colpite cominciano a perdere la memoria, fino a smarrire le funzioni vitali: un processo che può durare anche oltre un decennio. Non mancano fasi violente.
In Italia l’Alzheimer interessa 450 mila persone, sei milioni in Europa. Una cifra purtroppo destinata a raddoppiare entro il 2050, causa soprattutto l’aumento di numero degli anziani, i più colpiti.
“La ricerca – continua Tagliavini – ha identificato una forma mutata di beta-proteina la quale ha un comportamento sorprendente: si lega alla beta-proteina normale e blocca la formazione di amiloide e di conseguenza lo sviluppo dell’Alzheimer. Quando la malattia è familiare – continua Tagliavini – si incontrano, nell’albero genealogico, diverse persone malate e il gene che viene trasmesso è “dominante”, cioè basta ereditarlo da un solo genitore e ci si ammala. Noi invece abbiamo scoperto la mutazione di un gene – evidenzia Tagliavini – che fa ammalare soltanto quando viene ereditato da entrambi i genitori: loro sono sani, anzi, abbiamo osservato che chi ha una sola copia del gene mutato può arrivare a tarda età con un cervello che funziona benissimo”.
La ricerca, come spiega Mario Salmona, direttore del Dipartimento di Biochimica molecolare e Farmacologia molecolare dell’ Istituto Mario Negri, apre una nuova prospettiva terapeutica sia per le forme genetiche sia per quelle sporadiche di Alzheimer, basata sull’uso di frammenti proteici contenenti questa mutazione.

Alzheimer, speranza per i malatiultima modifica: 2009-03-13T20:29:00+01:00da leonedilipari
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