Da Melbourne in linea Marcello D’Amico. Caro Gianluca…

MDAMICO11.JPGdi Marcello D’Amico

 

Ginostra, paradiso terrestre.

Con gioa, commozione ed anche rammarico ho letto il tuo articolo su Ginostra. Ho provato tutte queste sensazioni perche’ all’ improvviso mi sono ricordato degli anni della mia fanciullezza trascorsi a Ginostra. Ho sempre seguito con grande attenzione tutto quello che affligge Ginostra, e non e’ una novita’, e credo che questo sia il momento giusto di porre termine a tutte le peripezie e finalmente portare quella tranquillita’ per poter vivere da cristiani in quello che io ho sempre considerato il “Paradiso Terrestre”. Ma e’ necessario essere tutti uniti, anche se e’ giusto che gli abitanti di Ginostra dovrebbere avere una voce in capitolo per decidere il loro destino. Ma in passato tutti hanno commesso errori, anche quel numero ristretto di residenti permanente. Non voglio fare polemica, Ginostra non lo merita, ma ora tutti dobbiamo ammettere il nostra “mea culpa”. Ginostra e’ sempre stato un posto particolare e il Creatore ci ha regalato un  pezzo di paradiso, purtroppo, forse non lo abbiamo mai apprezzato o rispettato. Il mio amore per Ginostra e’ iniziato nel lontano giugno del 1951. Da pochi mesi mio fratello prete Vincenzino era stato nominato curato di San Vincenzo dal vescovo Bernardino Re. Allora Ginostra non era una parrocchia. Vincenzino aveva compiuto da poco 25 anni. Il vescovo “barba bianca” lo aveva ordinato sacerdote, insieme a tre altri compagni eoliani, nella cattedrale di San Bartolomeo a Lipari  il primo agosto 1948, quando aveva solo 22 annni! Devo confessare che non avevo mai sentito il nome di questa borgata, ma sapevamo che Vincenzino doveva andare a aginostra11.JPGStromboli. Dopo pochi mesi lo andarono a visitare mia madre e mia sorella Maria, ed infine, dopo aver completato gli studi elementari,  anche io andai a Ginostra a fine giugno 1951. Avevo progettato di rimanere per qualche mese, solo in estate, invece rimasi fino al giorno della mia partenza in Australia!!! Ma in quei tre anni viaggiavo spesso e andavo in “vacanza” a Malfa. Siamo sbarcati a Ginostra verso le sette di sera e rimasi subito colpito da quello che stava davanti ai miei occhi: una scogliera maestosa, dirupi paurosi ed una scalata da incuetere paura. Ma arrivati alla piazzetta siamo stati accolti calorosamente da quasi tutto il paese. Quelli erano altri tempi, quando ancora il progresso non aveva colpito Ginistra. Mi seniti subito a casa mia. Ma allo stesso tempo ho notato che c’erano pochi giovani e miei coetanei. Nei precedenti quattro anni la popolazione era scesa da circa 250 persone a sole 80 anime causa l’ emigrazione in massa per l’ Argentina, Stati Uniti e Australia.

Immediatamente m’ iunnammorai di questo piccolo borgo, anche se in confronto Malfa poteva essere considerata una citta’. Non c’era neanche un piccolo piazzale oper giocare al pallone!! In un primo tempo avevo tanta paura del vulcano, poi gradualemnte abbiamo allacciato una stretta amicizia! A quel tempo a Ginostra non c’era acqua, solo quella piovana raccolta nelle cisterne, elettricita’, elettrodomestici, luce, telefoni, proprio nulla. C’erano due piccole botteghe gestite una dalla famiglia Petrusa e l’ altra da Giovanni Lo Schiavo, il padre di Mario. C’era solo il necessario perche’ con quel caldo e senza frigoriferi si poteva portare quasi nulla dalla terra ferma. E d’ inverno, quando il piroscafo non si poteva fermare perche’ la barca del rollo non poteva uscire dal Pertuso, si doveva alzare la bandiera sulla piazzetta in segno di comunicazione al comandate che non era possibile uscire. In realta’ durante l’ anno era possible comunicare con il mondo esterno solo quando la natura lo permetteva.  Delle volte d’ inverno si rimaneva isolati per settimane intere e si viveva  alla men peggio, specialmente quando non’ c’erano piu’ provvigioni di  farina, pasta e qualche scatolame. Ci arrangevamo con i “pastiddi” (castagne arrostite), pesci secchi, pani caliatu, e quel poco che si poteva coltivare. La dieta di Ginostra era alquanto particolare. Uscire dal Pertuso anche quando il mare era calmo non era facile, quando il mare poi era un po’ mosso allora si doveva ricorrere a ripari estremi. Un uomo doveva saltare da uno scoglio all’altro come uno scoiattolo, con il pericolo di rompersi l’ osso del collo, poi si sedeva sul masso opposto alla punta del molo e con una corda “di libano”, che la lanciava al vogatore del “vrazzuolo”, tirava a mano la aginostra12.JPGbarca del rollo fuori dal Pertuso. Questa era una scena che si ripetava regolarmente. Allora non c’erano barche a motore, tutto andava avanti a remi. Sono sicuro che Gaetano e Giovanni Merlino, Pasqualino Giuffre’, Giovanni Petrusa e Vincenzina si ricorderanno ancora di queste scene. Si cucinava a legna e c’era solo la luce del lume o lampada a petrolio o a olio. Io avevo il lusso dei mozziconi delle candele della chiesa. Solo nel 1954 la mia famiglia per primo porto’ a Ginostra un cucinino e due lampade con le bombolette a gas. Mezzi di comunicazione, a parte il servizio postale che funzionava solo quando il tempo lo pemetteva, erano ristretti ad un telefono dell’ uffico postale. Purtroppo, spesso e volenteri i pali dei fili telefonici crollavano cause le continue frane, e cosi’ si rimaneva completamente isolati. Del resto del mondo si conosceva ben poco. Io riuscivo a far venire qualche giornale, ma vecchi di alcune settimane, e per due anni mi abbonai al Corriere dei Piccoli. Ma nel 1953, dopo che l’ ufficiale postale Filippo Toscano si trasferi’ prima a Messina e poi a Taormina, riusci’ ad avere  settimanalmente, ma con due settimane di ritardo, la Gazzetta del Sud. Insegnante elementare nei pimi tempi era Giuseppe Criscillo che insegnava, in una sola aula, proprio dove oggi c’e’ il negozio di Gianluca, cinque classi!!!!!

Ormai non c’erano piu’ giovani, solo i due fratelli Tonino e Pino Criscillo. Oggi sispettivamente residenti a Marina Corta e Pianoconte. Nei tre anni che ho vissuto a Ginostra ho assistito a un solo matrimonio e cinque battesimi!! Ma non ho mai rimpianto di essere cresciuto a Ginostra. All’ apparenza mancava tutto, invece avevamo tutto! Studiavo  d’esterno a Ginostra e poi davo  gli esami a giuno alla scuola media di  Lipari. Mio fratello Vincenzino m’ insegnava le materie classiche e Tonino e Pino Criscillo disegno, matematica, geografia e scienze. La mia aula era all’ aperto e speso e volentieri studiavo sugli scogli con le gambe che penzolavano in acqua. A soli dodici anni cominciai a suonare l’organo in chiesa, grazie anche  alle  lezioni musicali di Tonino Criscillo. Insieme a Gaetano, a Calogero e a due ragazzine di cui non ricordo piu’ il nome, abbiamo formato un bellissimo coro a voci bianche! Quello che mancava materialmente veniva compensato dall’affetto ed il rispetto che si aveva l’un con l’ altro. Non c’era un medico o medicine. Si doveva andare a Stromboli con la barca a remi per essere visitato dal dottor Renda. Le medicine erano i rimedi naturali e a Za Carmela curava  lussazioni, distorsioni, mal di schiena, rottura di ossa e dolori “reumatici”. Solo una volta si e’ dovuto ricorrere al pronto soccorso di una navetta. Quasi tutti praticavamo la pesca per  dodici mesi all’anno. E la pesca era veramente abbondante. Si pescava con la lenza (il volantino), “l’ontrato” dei totani e calamari, le “proppare”, le nasse, le reti, le “battuglie”, e perche’ no’, anche con “a cimedda”. I frutti di mare erano in abbondanza ed ancora si trovavano negli scogli i gustosi “maccarruni i mari”. A aginostra13.JPGfebbraio, quando il mare era calmo come una tavola, si andava in alto mare per prendere le tartarughe. Com’ era bello pescare di notte a totani con la lampara, erano scene  veramente suggestive. Ricordo, come se fosse proprio oggi, le grande pescate di calamari, totani, nfafaii, uopi, occhiate, trigghie, monacieddi, scuorfani, ialieri, tunnacchioli, cavagnuoli, mustini, rugnura, murini, munacieddi russi, puddacini, spatuli, cernie, ricciuoli, augghi, merluzzi, pisci spata, e cosi’ via.

E cosa dire della raccolta delle ulive quando uno si alzava prestissimo per essere sul luogo prima dell’ alba perche’ si doveva smettere prima di mezzogiorno causa il forte caldo. E la raccolta del cappero ve la ricordate ancora?  Io ricordo come se fosse ancora oggi che mi piaceva accompagnare le comari su in montagna perche’ si godeva un panorama da paradiso. Sembrava dii toccare il cielo!!!!

E fu proprio a Ginostra che iniziai la mia carriera artistica. Con quel panorama, con quei colori, con qual maestoso volcano, non aveva altra alternativa. La mia attuale mostra di pittura astratta e’ intitolata “Volcanoes- Marcello D’Amico” (Vulcani-Marcello D’Amico), ed un quadro e’ ispirato al Pertuso. Fra giorni vi spediro’ una foto. Spero sia riuscito a darvi un sunto su Ginostra negli anni cinquanta.

Ritornai per la prima volta dopo 42 anni a maggio del 1997, sono arrivato la mattina e ripartito il pomeriggio. Ero insieme a mia moglie. Purtroppo quella fu una grandissima delusione. Faceva un caldo da morire e non siamo riusciti a trovare un bicchier d’acqua. Per fortuna avevo avuto il buon senso di portare con noi due panini ed una bottiglia d’ acqua. Il negozio di Giovanni Merlino era chiuso per protesta. Infine, dulcis in fundo, Mario ci fece pagare il biglietto come forestieri!! Fu tanta la mia delusione che nei quattro anni successivi, quando ritonai alle Eolie, decisi di eliminare Ginostra dal mio itinerario. Ma nel 2002 Gaetano Merlino, durante la sua permanenza in Australia, mi convinse di ritornare a Ginostra. Quell’ anno rimasi un solo giorno perche’ non c’era neanche una sedia per dormire una notte, e nel 2003, nonostante tutte le precedenti delusioni, rimasi per una settimana intera. Da quel giorno, nelle quattro successive visite, Ginostra l’ho vista solo da lontano. Nel 2007, quando ero accompagnato da mio figlio John-Paul, ci siamo fermati solo per alcuni  minuti sulla banchina.

Ormai non era piu’ la Ginostra che conoscevo, il turismo aveva toccato l’ animo di quelle persone che io amavo veramente. Ben comprendo che siamo nel terzo millennio, ma non possiamo fare di Ginostra una Capri. Quindi, anche gli abitanti di questo piccolo paradiso terrestre debbono accusare il proprio mea culpa. E’ anche giusto ammettere che non si puo’ piu’ vivere come ai miei tempi, ma e’ anche doveroso dire che chi vuole vivere a Ginostra deve fare dei sacrifici. Pero’ le autorita’ responsabili debbono agire immediatamente per risolvere tutti gli assilllanti problemi che esistono. Solo chi ha vissuto a Ginostra negli anni passati puo’ capire cosa significa vivere in un posto isolato e in condizioni da terzo mondo. Come ho accennato all’ inizio, bisogna essere tutti uniti ed agire con cautela per proteggere sia l’ ambiente che gli abitanti. Non sono due cose diverse, bensi’ una sola realta’. Nonostante il mio forzato esilio io amero’ sempre la mia Ginostra e seguiro’ sempre attentamente  le sue vivicessitudini. Da parte loro i 30 abitanti di Ginostra hanno un diritto, un dovere ed un onere a salvaguardarla e a proteggerla.

Nelle foto, Insieme ai miei genitori Maria Terzita e Calogero Vincenzo. Al centro l’australiana oriunda eoliana Kathy Caleo in Favaloro, sorella del futuro parroco di Ginostra Dick (Diego) Caleo. Giugno 1952.

Gennaio 1955. Il mio addio a Ginostra. Siamo sul piazzale davanti alla chiesa di San Vincenzo. Si notano, prima a sinistra, Gaetano Merlino, secondo a destra Giovanni Merlino affiancato dal piccolo Giovanni Petrusa. Il ragazzino al centro della foto credo sia Pasqualino Giuffre’.

Giugno 1954, insieme a Mario Lo Schiavo.

 

Da Melbourne in linea Marcello D’Amico. Caro Gianluca…ultima modifica: 2009-05-22T17:20:14+02:00da leonedilipari
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