Da Santa Marina Salina in linea Teodoro Cataffo

teodoro cataffo.pngdi Teodoro Cataffo
 
Pubblicazione di “Casa al mare” CAPITOLO 16°- La Fattura-2009
Questa fu la seconda volta, quella definitiva, in cui Marina ebbe modo di accostarsi alla morteGrazietta mi telefonò alle otto circa e con voce preoccupata disse che Marina era ferma immobile nel lettino, nello stesso verso, come la sera prima era stata lasciata. La sera precedente Grazietta mi aveva anche allora chiamato perché Marina le era sembrata strana e voleva andare a letto quando ancora erano le cinque di pomeriggio. Chiamato su a casa il dottore, lei si fece solo misurare la pressione .Quindi si girò e ci disse che voleva dormire. Solo Grazietta si accorge, come
poi raccontò, che nel girarsi si era segnata, furtivamente, con la croce. Fu cosi che a novantadue anni Marina ci lasciò con minimo disturbo. Era uno splendido mattino di inizio estate e il sole entrava dalla finestra e dava luce a quel minuto corpo ,a quella piccola faccia olivastra ed a quella testolina ancora piena di capelli neri che Grazietta stava sistemando col cerchietto rosso, che da sempre la zia amava portare. Nella grande stanza di centro casa era stato subito sistemato il letto per l’esposizione del corpo. E quel corpo leggero, da sembrare aereo, che le donne avevano addobbato per il suo viaggio, io lo presi in braccio per andare a sistemarlo sul letto funebre al centro della stanza di centro casa cosi come, sempre, da tutte loro era stato raccomandato.
Dieci anni prima l’idea fissa di un sortilegio, di una fattura l’aveva, allora, convinta che in forza di quello stesso maleficio che si era portate via già quattro delle sue otto sorelle, ora sarebbe toccato a lei. Inutile cercare di convincerla che non era vero. Tutti i suoi improperi erano per lui…, quello che per punirle di non avergli dato in moglie la sorella più bella bensì la più malata, adesso le stava castigando una dopo l’altra. Quello conosceva le donne di malaffare e aveva dimestichezza con le furticchiare. Con la convinzione di dover morire cominciò a rifiutare ogni forma di cibo e di bevanda sì da ridursi in una decina di giorni pelle ossa e vene. A nulla poterono le flebo ricostituenti che un medico affettuoso le infilava nelle vene sempre più imprendibili ed asciutte. Voleva morire presto per non soffrire e cosi non farlo contento. Ma quello è morto, zia. Come puoi pensare che sia contento.–Questi non muoiono mai. Ma Dio è grande e l’arcangelo Gabriele lo ha fatto precipitare nell’inferno più terribile e lì deve bruciare, nelle fiamme dell’inferno deve soffrire per il male che ci ha fatto.
 
Pochi giorni dopo le vene ormai diventate come uno scolapasta non si facevano più raggiungere dall’ago. La via intramuscolare, oltre che impropria per le flebo, faceva paura. Era come se ogni volta l’ago sbattesse contro un osso e si spezzasse. Paolo il dottore scosse la testa e disse chiaramente che al massimo sarebbe durata ancora una settimana e andò via. Seduto di fronte a lei, misi gli occhi dentro le sue nere pupille, le presi le mani nelle sue e restammo cosi per lungo tempo. E mentre una lacrima le rigò la pelle del viso strinse leggermente le mie mani che tenevano le sue. Ci vorrebbe uno che va lì, a Barcellona, da quello dove sono andati tanti anni addietro , quando a picciridda era malata e stava morendo. O zia, tu credi davvero che quello è stato lui a farla stare meglio ? Quello fu il Signore. Mi fai meraviglia tu che sei cattolica. Il Signore tante volte si serve di noi. Però chi deve partire ? quando c’era lei, la più grande, non ci pensava due volte.
 
Ora tutti vengono per pigliare e non si fanno vedere più. Capii che quelle parole erano insieme una preghiera e un rinfaccio. Voleva ricordarmi che ero l’unico su cui poteva contare anche perché ero il solo beneficiario del suo testamento. Ma quello, zia, sarà morto a quest’ora. Era già vecchio allora dissi. E all’improvviso ricordai che quella volta c’ero stato anche io nel cortile di un vecchio caseggiato, dove un anziano, con una folta barba, ficcava misteriosamente aghi in un limone leggendo a bassa voce su uno sdrucito messale. Ebbi una idea e presi la decisione. Le dissi che dopodomani andavo a Messina e che al ritorno sarei passato da Barcellona a cercare l’uomo del miracolo. Prenderò invece del bus una macchina cosi avrò più tempo. Zia, non so se lo trovo, però tu poi devi fare tutto come dice lui. Era domenica, martedì mattina partii e con la macchina affittata andai a fare le mie cose a Messina. Al pomeriggio ripresi il primo aliscafo e tornai casa.
 
Non ci pensai neppure un attimo ad andare a Barcellona alla ricerca di un vecchio ignorante rincoglionito che quasi sicuro non c’era più. La mattina dopo, ancora a letto, telefonò un’ altra delle zie. Marina dice, che fai non vieni ? Salì che era quasi l’ora di pranzo. La feci attendere per farla diventare ansiosa e desiderosa di sapere. Infatti dalle sette del mattino, ora della prima chiamata, fino alle dodici, fu chiamato almeno altre dieci volte da voci sempre più concitate, nervose supplicanti. Alle 12 e mezza entrai a casa. Tutte erano sedute nella stanza di centro casa attorno al tavolo con sopra il tappeto nuovo di raso rossastro, il vaso alto e sottile che conteneva tre rose rosse di plastica mentre nei cassetti conservate tante foto ingiallite. Marina era seduta li, piccola, nella grande poltrona arancione, vicino alla vecchia radio con incorporato il giradischi per dischi da quarantacinque, trentotto e settantacinque giri. Il capo piegato da un lato, gli occhi chiusi. Le altre scuotevano la testa ed ormai aspettavano. Quella atmosfera di cosciente ed incontrollabile rassegnazione mi fece vacillare nel proposito che mi ero prefisso. Forse non era giusto. Sentii allora una voce da bambina, sottile, appena udibile quasi giungeva da lontano, disperata.
L’ hai trovato ? che ti ha detto ?
 
Mi convinsi subito che dovevo giocare la carta che, quasi con cattiveria, quasi con perfida cattiveria, avevo preparato. Sono uscito pazzo per trovarlo, meno male che ho affittato la macchina. Ho fatto due volte benzina. Marina con uno sforzo evidente ed enorme allungò la mano chiusa verso di me, tieni .Dopo zia. Tieni. Mi alzai , le andai vicino e presi quello che voleva darmi. Erano centomila lire, che aveva già pronte. Che ti disse ? Stava nel letto, zia, con gli occhi chiusi, una barba bianca lunghissima e pochi capelli bianchi e in disordine. Mi chiese il tuo nome. Marina gli dissi. Allora allungò una mano verso di me ed io gli feci toccare il velo di seta nera che loro mi hanno dato. Quello che mettevi prima, quando andavi alla messa. Che ti disse ? ce l’ho ? Si zia, terribile, di più di quella che ha ammazzato prima le tue quattro sorelle. Stetti un attimo zitto e però non arrivò la domanda che tanto aspettavo. Anzi dopo un po’, con tutte le forze rimaste, bastardo, deve bruciare per sempre nelle fiamme dell’inferno , per sempre. Per morte, zia, la fattura per te è stata fatta per morte.
 
Seguì un tempo imprecisato scandito dai singhiozzi delle altre e ritmato dal respiro fievole di Marina. Poi, finalmente, stringendo i pugni, sibilò ,che dice ? Che si può fare ? Fu una liberazione, come se un vento tiepido rinfrescasse quel posto gelato dalla reale vicinanza della morte. Ricordati zia quanto mi hai promesso prima di andare da quello. Qualunque cosa ha detto di fare per liberarti dalla fattura di…tu la facevi. Che ti ha detto? Mi ha parlato all’orecchio e tu sei vuoi tornare libera devi liberare… dalle fiamme dell’inferno. Per tre giorni e tre notti ogni ora devi recitare tre Paternostri, tre Ave Maria e tre Glori al padre a favore dell’anima di …Impallidì quel poco che la cattiva cera consentiva, serrò i pugni battendoli con rabbia sui braccioli della grande, per lei, poltrona arancione, serrò anche le sottili labbra pianse, poi digrignò le gengive e con la faccia più cattiva che poteva fare sbottò, mai, deve restare e bruciare dov’è… Poi rilassatasi un po’ mi guardò con gli occhi neri e profondi.
 
Capii che era pronta, mi avvicinai, mi sedetti sul bracciolo della poltrona arancione e la abbracciai per un poco. Poi scivolai dal bracciolo fino a terra, mi ci inginocchiai davanti, vicino, tanto che la mia persona toccava le sue ginocchia. La fissai in viso, le accarezzai una guancia, le stampai uno schioccante bacio sull’altra. Sei pronta ? Dai, insieme. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo…Padre…
Le lacrime delle altre sgorgarono invadendo la stanza di centro di pianto di felicità. Fu cosi che Marina ci regalò ancora dieci anni della sua meravigliosa e semplice vita….
Da Santa Marina Salina in linea Teodoro Cataffoultima modifica: 2011-11-25T20:30:00+01:00da leonedilipari
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