Rassegna Stampa. “La Repubblica.it”, Siti Unesco. Un tesoro sfruttato male. Indagine sui 49 tra luoghi e aree iscritti nella lista del Patrimonio dell’Umanità: attirano flussi di turismo superiori alla media, ma senza produrre il reddito che potrebbero

arepubblica.it.jpgI siti Patrimonio dell’Umanità Unesco italiani attirano turisti, anche stranieri. Ma il tutto non si traduce in entrate, almeno non in misura pari alle potenzialità della nostra straordinaria offerta di cultura, arte e anche natura. Abbiamo una miniera che si chiama turismo e non la sappiamo sfruttare. E’ uno dei temi ricorrenti, in ogni dibattito sul declino e sulla possibile ripresa del Belpaese. E lo studio Isnart (Istituto nazionale di ricerche turistiche) sull’andamento della richiesta, dei flussi e delle entrate dei 49 luoghi che fanno parte dell’Unesco World Heritage – lista in cui l’Italia detiene il primato assoluto di presenza, con i 5 per cento sul totale mondiale – sono la conferma. Quarantanove siti, dunque, oltre ai quattro associati alla categoria dei beni “immateriali”. Un grande patrimonio collocato sul territorio di 302 comuni: quasi tutte le grandi aree urbane da Roma a Genova, Venezia, Firenze, Torino, Milano e Napoli; molte città di medie dimensioni, da Pisa a Siena a Verona a Ferrara e Mantova; poi, un gran numero di piccoli comuni collocati in contesti di grande pregio artistico o naturalistico, come la Costiera Amalfitana, la Val d’Orcia e le Cinque Terre (nella foto, Portovenere) Il fatto di rientrare nel novero dei luoghi più significativi dell’umanità ha un ovvio effetto positivo sul prestigio e di conseguenza sulla notorietà internazionale di ambiti territoriali che, in molti casi, sarebbero altrimenti relativamente poco visibili. facile immaginare che, in generale, vi sia un effetto positivo anche in termini di aumento dei flussi turistici; del resto, nei territori coinvolti vi sono circa 23.000 strutture ricettive e più o meno 710.000 posti letto, pari al 15% del totale dell’offerta esistente in Italia. L’Isnart ha cercato di verificare in concreto l’impatto sulla domanda turistica determinato dal fatto di essere un “sito Unesco”, anche con l’intento di capire come tale impatto potrebbe essere “rafforzato”. I dati confermano che nei siti Unesco le performance sono generalmente migliori. Sia nel 2011 che nel 2012 e nei primi sei mesi di quest’anno, il tasso di occupazione delle camere è stato sempre nettamente maggiore, con poche eccezioni, in tutti i mesi; le differenze (nell’ordine del +15-20%) si manifestano nei mesi prima e dopo l’estate. La comparazione dell’andamento delle vendite delle camere da gennaio 2011 a giugno 2013 nei “siti Unesco” e in quelle nelle altre destinazioni conferma che questi ultimi riescono a destagionalizzare in maniera rilevante la domanda, con presenze proporzionalmente numerose anche in autunno e primavera. Nei “siti Unesco”, inoltre, oltre il 71% delle strutture ricettive prevede il booking on-line, contro il 64% di quelle collocate nelle destinazioni “normali”. Si evidenzia, dunque, una maggiore diffusione delle tecnologie e migliori competenze di gestione avanzata delle relazioni con i clienti. A fronte di questi dati positivi, non sembra però corrispondere un vantaggio anche per quanto riguarda la spesa dei turisti. La differenza della spesa media sul territorio è di meno del 5% (pari ad appena 3 euro in valore assoluto); ancora minore, nel caso della spesa per alloggi. Più significativa è la maggior spesa per il viaggio, a testimonianza che il differenziale di attrattività dei “siti Unesco” risulta forte nel caso della domanda internazionale.

Rassegna Stampa. “La Repubblica.it”, Siti Unesco. Un tesoro sfruttato male. Indagine sui 49 tra luoghi e aree iscritti nella lista del Patrimonio dell’Umanità: attirano flussi di turismo superiori alla media, ma senza produrre il reddito che potrebberoultima modifica: 2013-11-11T19:15:00+01:00da leonedilipari
Reposta per primo quest’articolo