Salina, al “DocFest” il concorso nazionale per documentari

adocfest.jpgSalina – Il “DocFest” è proseguito con il concorso nazionale documentari. Giuliano Ricci, con il suo Non c’è più una majorette a Villalba, indaga la desertificazione di Villalba, paese dell’entroterra siciliano caratterizzato dall’isolamento fisico ed economico e dalle strutture dimesse: «Le persone con cui ho parlato – ci dice il regista nel corso dell’incontro – sono molto fiere della loro identità e tendono a preservarla con forza. Mi è stato detto più volte che questo film ha un carattere antropologico, come fosse un piccolo serbatoio di memorie, racconti e culture che stanno ormai scomparendo». A caratterizzare il film di Ricci è anche la ricerca formale e lo studio sullo sguardo: «o cercato di usare un linguaggio molto soggettivo, scegliendo di raccontare tutta la storia unicamente attraverso i racconti dei personaggi, senza voci fuori campo o troppe spiegazioni. A volte usando un tono molto ironico, altre distaccato, altre ancora partecipe. Ma ho cercato comunque di infondere un taglio cinematografico e antitelevisivo al mio racconto, guardando magari alla grande tradizione dei film western e alla commedia all’italiana classica.

Dalla Sicilia a Napoli, il film di Marcello Sannino, Corde, usa il mondo della boxe nella città partenopea come espediente narrativo per raccontare la storia di Ciro, giovanissimo pugile dell’antico quartiere Ventaglieri, e il suo difficoltoso percorso di formazione: «Sono sempre stato affascinato dal mondo della boxe – ci rivela Sannino durante la presentazione del suo film – Mi sono sempre piaciute le sue “contraddizioni”. Boxe e teatro di Franco Ruffini e Boxare con l’ombra di Alessandro Cappabianca sono libri che mi sono rimasti dentro e che mi hanno affascinato per la visione dell’attore come un pugile e del ring come un palcoscenico. Lo stesso Artaud aveva paragonato l’attore ad un boxeur, per il discorso sull’autorialità di se stessi, sull’essere attore-autore… Il pugile si guarda continuamente allo specchio, il suo avversario è se stesso…».
Gianfranco Pannone, tra il pubblico, fa notare come il film di Sannino si tenga lontano da un ritratto oleografico di Napoli, evitando il “colore” e il “sentimentalismo” che la città può facilmente evocare: «Raccontare Napoli – osserva il regista di Ma che storia – è una delle cose più difficili per un regista». «Ho cercato di tenermi molto stretto – precisa Sannino – A Napoli, appena allarghi l’obiettivo, sei tentato di raccontare tutti quei divertenti personaggi-maschere che incontri quasi per caso. Per quanto mi riguarda, invece, quella di focalizzarmi intorno al ragazzo e al suo mondo, magari filmando la Napoli dell’alba o quella notturna, è stata una scelta iniziale, consapevole e molto sentita».

Se non si può parlare di una vera e propria scuola napoletana del documentario, si possono almeno constatare gli scambi e i prestiti tra una troupe e l’altra. Marcello Sannino, ad esempio, ha curato la fotografia di In purgatorio di Giovanni Cioni, sesto film del concorso Tasca d’Almerita, ispirato al culto del Purgatorio a Napoli. Un lavoro poetico, diviso in sette capitoli, dove prevalgono codici come la ripetizione e la rima, piuttosto che la progressione classica del racconto: «Spesso lavoro organizzando il materiale in cifre dispari. Per questo film sono partito da un approccio musicale e compositivo, con l’intenzione di esplorare una dimensione soggettiva, vicina al sogno. Mi sono avvicinato al culto della anime del Purgatorio come si trattasse di un viaggio nell’ignoto, che non sapevo dove mi avrebbe portato. Ma questo tipo di storia mi offriva la possibilità di fare un’esperienza – quella del film – che si andava chiarendo dentro di me giorno dopo giorno. Non è un film sulla morte, ma un film sull’attesa di esistere».

Salina, al “DocFest” il concorso nazionale per documentariultima modifica: 2010-09-19T07:57:18+02:00da leonedilipari
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