A un certo punto de: “I fratelli Karamazov”, Dostoevskij fa pronunciare ad Ivan Karamazov la celebre frase: “Se Dio non esiste, tutto è permesso. Mi è venuta in mente leggendo il breve ma sofferto intervento su queste pagine dell’avv. Ziino che si conclude ponendo questa domanda: persa la fede, reso vano il giudizio di Dio, perché l’uomo dovrebbe osservare delle regole?
Dostoevskij teme che mettendo da parte Dio l’uomo si consideri onnipotente, l’unico artefice e dominatore del cosmo. L’Illuminismo, del resto, aveva liberato l’uomo dal pregiudizio religioso e dal peso dell’autorità. Kant, facendo uscire l’uomo dalla sua condizione di minorità grazie ai lumi della ragione, aveva ridefinito l’etica liberandola dal recinto della religione: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Sarà Nietzsche a decretare la morte di Dio e con essa la pretesa di fondare l’etica, o qualsiasi ordine cosmico, sulla fede.
Liberata l’etica dalla fede, per l’uomo si dischiude il mare aperto: negato Dio, l’uomo diventa Dio. Nel senso che, per Nietzsche, esso diviene libero di auto-realizzarsi senza essere costretto a portarsi dietro il peso del passato e delle convenzioni storiche. Finalmente libero, l’uomo eredita tutti gli attributi di Dio e può così realizzare la propria umanità esercitando le enormi potenzialità che solo la sua creatività può dischiudergli.
Ho voluto richiamare, anche se in maniera parziale ed insufficiente, alcuni pensatori che si sono posti la medesima domanda dell’avv. Ziino, per sottolineare come la fondazione dell’etica sia uno dei temi fondamentali di tutta la cultura occidentale. Un tema di strettissima attualità che ci riguarda tutti, basti pensare alle questioni connesse alla bioetica ed alle implicazioni politiche che ne conseguono. Mi riferisco a temi quali l’aborto, l’eutanasia, l’accanimento terapeutico, e via discorrendo che spesso scivolano dal campo etico a quello politico con una superficialità raccapricciante.
Tornando più specificatamente sulla domanda posta dall’avv. Ziino, la mia opinione è che si dovrebbe assolutamente distinguere tra fede e religione. Si può credere senza professare alcuna religione specifica, così come, ed è l’esperienza quotidiana ad insegnarcelo, si può professare una religione senza realmente credere. L’uomo di fede non ha regole, proprio perché egli è animato da una fede che non può definire o dimostrare razionalmente. La fede non ha regole o statuti perché sarebbe contraddittorio pretendere di porre delle regole, quindi dei limiti, a Dio. Chi crede lo fa incondizionatamente ed al di la di qualsiasi ragionevolezza. La religione, invece, è fatta di regole, di precetti, di norme alle quali bisogna adeguarsi. Queste disciplinano la vita dei credenti nell’ambito della religione che professano, ma quando queste religioni acquistano un potere diffuso, i medesimi precetti pretendono di diventare norme etiche e persino giuridiche.
Il rispetto delle regole, dunque, a mio parere, ha poco a che fare con la fede, ma molto a che fare con la convivenza civile, con il rispetto dell’altro, con l’affermazione della propria ed altrui umanità, con il rispetto dell’ambiente nel quale l’uomo vive e del quale non è dominatore ma semplice parte. Bisogna rispettare le regole perché si è uomini non perché si è credenti. Il credente ha una responsabilità in più perché è convinto che nulla inizi o finisca con la sua esistenza, ma tutto proceda da e verso Dio, dunque il suo processo evolutivo deve svolgersi senza violare l’armonia che tiene unite e fuse le anime allo Spirito in virtù dell’amore. Il non credente, che invece ritiene che la sua esistenza inizi e finisca nel tempo biologico che gli è dato, non può per questo sottrarsi ai suoi doveri di uomo ed alle sue responsabilità verso la società di cui è parte e nella quale vive, opera, lavora, si riproduce. Il valore di quella società e la qualità della vita che in essa si vivrà, dipenderà proprio dal modo in cui egli rispetterà le regole della convivenza civile e i suoi doveri. Primo fra tutti quello di mettere a disposizione i talenti che la natura gli ha riservato.
Il non credente che non rispetta le regole non può temere di andare all’inferno, ma l’inferno che lascerà dietro di sé in eredità a chi rimarrà sarà il ricordo che accompagnerà il suo nome ogni volta che verrà pronunciato.