di Giusi Oliva
D’estate, come ogni anno, mio padre, appassionato apneista, si tuffava con una cesta, che era stata il contenitore di una palma da trapiantare, e iniziava la raccolta dei ricci. Noi bambini lo seguivamo, con la maschera, nuotando a perdifiato per ore e ore, seguendolo senza posa. Il mare era caldissimo, il fondale stupendo, i pesciolini nuotavano indisturbati e le alghe si dondolavano dolcemente spinte dalla corrente. La luce del sole inondava d’immenso l’ambiente e si rimaneva abbagliati quando si sollevavano gli occhi per guardare il cielo. Quando la cesta era colma facevamo ritorno a riva entusiasti e impazienti di iniziare ad aprirli per poterne mangiare le uova. L’occorrente era pronto: forbici, cucchiaini e limoni. Questa attività attirava la curiosità dei turisti presenti sulla spiaggia che si avvicinavano per vedere da vicino. Noi, con slancio, le offrivamo decantandone la bontà. Sulla ghiaia nera a piedi nudi, si faceva festa: l’antipasto era servito!
Foto Nino Spartà. Ricci di mare con patella.
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