Rubrica Religiosa a cura di mons. Alfredo Adornato

aadornato.JPGdi Alfredo Adornato

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Nell’odierna liturgia di questa XXIV Domenica del Tempo ordinario non mancano occasioni, quasi provvidenziali, per rispondere alle variegate provocazioni, religiose o culturali, cui stiamo assistendo in questo tempo.
Sembra essere messo in discussione non tanto il credere in sé; quanto le sue modalità e le sue manifestazioni. E non mancano, dentro e fuori di noi, domande e dubbi che ci assillano: dov’è la verità? Chi sei, Signore Dio? Cosa dici a noi e cosa vuoi da noi?
La preghiera di questa domenica sembra raccogliere il nostro grido: “Non abbandonarci nella miseria; il tuo Spirito ci aiuti a credere con il cuore e a confessare che Gesù è il Cristo”.
Il cuore della Parola sta tutto qui. Là dove l’uomo non si sgancia – e, quindi, conserva le sue paure – dalla propria miseria, là si corre il rischio di perdersi e di confondersi; là, invece, dove il cuore si abbandona ad una verità che solo l’amore dona di percepire, là si ottiene il dono della salvezza.
Ma cosa percepire? Cosa occorre comprendere? Quale confusione o dubbio religiosi oggi minano, come sempre, la nostra fede?
Non opporre resistenza. Si cerca Dio, per un po’ di quiete. Viene da ricordare Giobbe con i suoi dolori: esausto e sfiancato, cerca pace, ma essa non arriva.
In un mondo di diatribe e di brutture, si cerca Dio per un impeto di bellezza… da contemplare o da vivere, ma ci si ritrova di fronte a un dorso flagellato, una faccia piena di insulti e di sputi, una barba strappata fino all’inverosimile.
E’ il volto di Dio. E va compreso senza opporre resistenza. Se vi intravediamo il Dio sadico di chissà quale religione o la vittima gratificata che va in cerca di compensazioni o considerazioni umane, di sicuro rigetteremo non solo i contenuti ma la sua stessa identità.
Non opporre resistenza vuol dire entrare nel cuore del mistero di Dio e saperne cogliere la profondità (eterna è la sua misericordia, cantavano gli ebrei) e la ragione (Dio ha tanto amato gli uomini da mandare il suo figlio per salvarli, annota san Giovanni).
Il volto sfigurato di Dio è il semplice e nudo segno di un amore folle, che non si tira indietro, che ha passione per gli uomini, che non oppone resistenza per quanto gli viene chiesto.
Chi sarà mai l’immagine di questa follia?
E cominciò ad insegnare loro. Solo il Vangelo di Gesù è capace di rispondere alla domanda che abbiamo posta. Anzi, che ha posto il Signore Gesù già ai discepoli del suo tempo!
Se mi avete ascoltato, se mi avete compreso, se mi avete seguito,… allora chi sono io?
Il povero Pietro – un pescatore capace di arrabbiarsi e, parimenti, di piangere -, lui solo, ha avuto modo di esclamare: Tu sei il Cristo!
Nessuna conquista sua; nessun merito suo: tutto è dono; tutto è grazia; tutto è concessione di Dio.
Ma la cosa più interessante e più stravolgente, di fronte alla quale anche lo stesso Pietro indietreggiò, è che il Cristo di Dio è il Gesù della Croce: un uomo che dovrà soffrire.
Egli è l’icona più paradossale della potenza e della vittoria di Dio!
Per cui, chi vorrà seguire Gesù – cioè, chi vorrà essere cristiano -, non può non fare i conti con lo scandalo della Croce. Dentro e fuori di sé; nella propria vita come per le strade della storia.
Quanto cristianesimo edulcorato! Quante gioie ostentate che offuscano il pianto e il dolore di Dio e non lasciano né spazio né senso alla Croce di Cristo! Quanti stili cristiani – tra profumi, pellicce e coreografie varie – che banalizzano e controtestimoniano la sapienza della Croce!
La domanda di Gesù è attuale ancora oggi! Guai se non lo fosse… Poveri noi se, quotidianamente, non ci mettiamo, come alunni, ad imparate la “sapientia crucis”.
Una fede operativa. Sebbene Giacomo voglia stigmatizzare le incongruenze di chi, pur avendo fede, ad essa non associa le opere, è altrettanto vero che potrebbe essere sintesi di quanto Gesù ha affermato nel Vangelo stesso.
Una fede senza Croce è insensata; una fede senza opere è vuota e, pertanto, morta.
E’ una lezione di coerenza quella che Giacomo oggi ci offre.
E, soprattutto, un invito alla carità. La cosa più importante, direbbe san Paolo.
San Giovanni della Croce ci ha ricordato che saremo giudicati sull’amore alla fine della nostra vita. E poveri noi se non avremo imparato a dare il necessario per il corpo a coloro che ci chiedono una mano.

Rubrica Religiosa a cura di mons. Alfredo Adornatoultima modifica: 2009-09-12T08:34:46+02:00da leonedilipari
Reposta per primo quest’articolo