Rubrica Religiosa a cura di Mons. Alfredo Adornato

aadornato.JPGdi Alfredo Adornato

XXIII Domenica del Tempio Ordinario (Anno B). Dal Vangelo secondo Marco. Suscita a volte lo stupore, recandosi nei monasteri di clausura, vedere donne, uomini, che, scelti per questo da Dio, fanno della loro vita un continuo silenzio, interrotto solo dalla preghiera. Il loro non è un silenzio vuoto di sostanza, ma è il diventare sordi e muti di fronte alle troppe parole del mondo che, troppe volte, sono un vuoto di sapienza, quando non sono un inganno per l’anima. Insomma vivere da solo, in totale silenzio, come se il mondo non avesse voce ed affidarsi solo all’ascolto della Parola di Dio. Tante volte sentiamo parlare, nelle nostre comunità cristiane, di bisogno di “deserto”, ossia di uscire dal frastuono del mondo dove molte volte è difficile sentire la bellezza della verità. Ti senti solo con te stesso e con la Parola di Dio e la preghiera. E’ come se riacquistassi la saggezza e la bellezza che viene dalla verità, che non ama il frastuono, ma vuole libertà. Quante volte siamo costretti a sentire parole che a volte infastidiscono. Il mondo oggi ha moltiplicato i “canali della parola”: basta pensare ai mezzi di comunicazione. Ma alla fine cosa dicono alla nostra anima che ha sete di verità? Nulla. E tante volte ancora peggio, sono parole che contengono errori tali, che ci portano lontano dalla verità e quindi da Dio. Il male è che ci facciamo incantare da queste parole che sono veleno, perché diventano convinzioni, stile di vita e quindi buio fitto per l’anima che ha bisogno di luce, tanta luce. Un sordomuto. Assomiglia molto a noi, quando siamo nel peccato.  Possiamo avere accanto Dio, che ci sussurra le parole più dolci e imperiose. Non lo sentiamo. Possiamo aver vicino le persone più acute e più buone, che desiderano aiutarci. Non prestiamo attenzione. O passiamo davanti a chi ha bisogno di un conforto, di una speranza. È come se fossimo soli al mondo, chiusi nel nostro egoismo.  Ma se il sacramento di Cristo ci raggiunge… Può essere la Chiesa che battezza o ci offre il perdono a nome del Signore Gesù. Le dita, la saliva, l’“apriti” possono essere l’acqua o la mano benedicente che si leva su di noi: “Io ti battezzo”; “Io ti assolvo”. Allora avviene nuovamente il “miracolo”.  Diventiamo capaci, per grazia, di udire le consolazioni e i suggerimenti e gli imperativi di Dio. Diventiamo capaci di rispondergli con la preghiera e con la vita. E il prossimo è colui che dev’essere ascoltato e confortato. Nasce la fraternità. Se ci lasciamo salvare dal Signore. Se aderiamo a lui con tutte le forze.  Il Vangelo di oggi ci parla della guarigione del sordomuto. Un uomo senza udito e senza parola. “Gesù di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea, in pieno territorio della Decapoli. Gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte, lontana dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua: guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: “Effetà” cioè “apriti”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Comandò di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti.” (Mc. 7,31-37). Anzitutto troviamo Gesù in un luogo che non faceva parte della terra di Israele, quindi quanti vanno da Gesù non erano ebrei. Gesù non fa distinzione e li accoglie, li ascolta. In loro scorgo tanta gente che dice di non essere di Cristo, ma in fondo nel momento della compassione di fronte al dolore, non teme di farsi voce di chi soffre e va da Chi può, ossia Dio. Potremmo essere noi, anche se a volte diciamo di credere poco, quelli che si fanno amici e voce di chi ha bisogno di guarigione. Trattandosi di dare voce a chi non ha voce e udito a chi non riesce a sentire perché sordo, Gesù fa un gesto inaspettato. Si allontana dalla folla che rappresenta molte volte il vociare senza verità e speranza e si mette in disparte, Lui e il sordomuto, in un incontro che ha il sapore del tu a tu con Dio, fuori dal chiasso. E’ proprio in questa atmosfera di silenzio di deserto che Gesù opera..ieri..oggi. Solo se anche noi sappiamo seguirLo lontano dalla folla. L’evangelista Marco ci mette al centro della scena messianica, registrando tutto ciò che è avvenuto, ma proprio tutto. Un evento che sembra la mano del Padre calata sulla miseria dell’uomo. Colpisce quel suo guardare il cielo come a mettersi in comunione con il Padre, e quel “sospiro”, che tanto somiglia all’alito che Dio infuse in noi nel momento della creazione, un alito che è la vita divina comunicataci: un alito che si è come smarrito con il peccato originale. Quindi compie quei gesti che anche noi compiamo nel momento del Battesimo, quando rinasciamo a vita nuova: ossia toccando le orecchie del bambino diciamo “effetà”, “apriti!” e quindi leggermente con la saliva sfioriamo la bocca dei battezzati. Ed è tanta la gioia del sordomuto nell’acquistare udito e parole che, subito, ne dà un saggio, proclamando le meraviglie di Dio, nonostante Gesù glielo avesse impedito. Dovremmo tutti noi, rinati nel Battesimo, coltivare con la Parola di Dio l’udito e quindi proclamare la gioia che è nel Vangelo della speranza. 

Rubrica Religiosa a cura di Mons. Alfredo Adornatoultima modifica: 2009-09-05T07:47:54+02:00da leonedilipari
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