Da Torino in linea Michele Sequenzia

msequenzia.jpgdi Michele Sequenzia

Allego un’interessante lettera del mio amico Andrea Panzavolta da Forlì sul tema “Cultura”. Sono stimolanti riflessioni che sicuramente interessano molti tuoi lettori.  Ti auguro una felice Pasqua assieme a chi ti vuol bene.

Per un nuovo nome per gli Assessorati alla Cultura. Per le balordaggini dette e fatte da Tremonti sulla cultura forse non vale la pena sdegnarsi più di tanto: annaffiare una pianta con lo sdegno può solo farla crescere più velenosa. Nelle righe che seguono tenterò, piuttosto, di offrire una definizione ‘minima’ del termine ‘cultura’ a uso esclusivo degli amministratori locali (nella convinzione che il primo compito di un intellettuale sia ‘criticare’, nel significato greco del verbo, i propri amici). Essa consisterà in tre passaggi – che sono anche tre clamorose inadempienze – e in una proposta. La mia definizione sarà condotta sulla scorta delle suggestioni che mi vengono dall’etymo-logia della parola cultura. L’etymon, infatti, è ciò che di vero si può dire intorno a una cosa, quindi, ricercare la sua più profonda verità.

1. Orbene, la parola ‘cultura’ deriva dal verbo latino cólere, il cui primo significato è ‘coltivare’ un territorio. Ma poiché si può coltivare bene un territorio solo risiedendoci stabilmente, col tempo  cólere acquistò anche il significato di ‘abitare’ un territorio. E infine, poiché la coltivazione dei campi richiedeva una cura continua, il verbo passò poi a indicare tutte quelle attività che esigevano una diuturna attenzione (da qui la parola cultus, culto). A questo punto si può già trarre una prima definizione: la cultura è l’assiduità necessaria che consente alle piante di un territorio ben definito di crescere e di portare frutto. Ma da qui la prima inadempienza: tagliare fondi alla cultura significa disattenzione verso il proprio territorio, far mancare quella assiduità nella cura senza la quale le piante migliori non possono crescere né fruttificare.

2. «Cosa rende ridente la campagna, / questo canterò, Mecenate, / la stagione in cui si dissoda la terra, / si legano le viti agli olmi; / come si governa il bestiame, / si allevano le greggi / e l’esperienza che esigono le piccole api». Così inizia il Libro Primo delle Georgiche (da citare obbligatoriamente quando si tira in ballo il verbo cólere). Colpisce nel testo latino l’uso di tre parole: cura, cultus, experientia (le prime due le abbiamo già incontrate sopra). Ne deriva che la cultura è un’arte. I coltivi, il bestiame e le «piccole api» esigono esperienza non inesperienza, cura non incuria. Gli esametri virgiliani possono essere letti anche come una metafora del Politico e in particolare dell’ordinamento democratico E come per la coltura dei campi sono richieste specifiche competenze, così è anche per la democrazia, la quale esige l’aristocrazia. I rappresentanti debbono essere gli aristoi, i migliori, selezionati in virtù di una comprovata experientia (sia essa economica o giuridica o istituzionale), e portaborse capaci solo di suonare il piffero della rivoluzione (per riprendere l’icastica e sempre attuale immagine di Vittorini). La decisione di tagliare fondi alla cultura tradisce uno spaventoso vacuum di idee e una miopia che si fa viepiù cecità. E così la democrazia si trasforma in onagrocrazia, nel ‘governo degli asini’.

3. Cólere è un verbum actionis. Esso consiste in un agire ponderato, in un agire sotto il segno dell’experientia e della cura. Ma l’agire è, altresì, azione massimamente politica. Un Assessorato alla Cultura che non agisca semplicemente non esiste come Assessorato. A questo punto sorge sponte la domanda: come deve agire un Assessorato alla Cultura? Realizzare magari l’ennesima grande mostra ai Musei San Domenico? Anche, ma così siamo ancora lontani da una vera politica culturale, la quale consiste nell’innovazione. E innovazione – riprendo uno straordinario articolo di Massimo Cacciari (L’Espresso, 14 gennaio 2011) – significa commissionare nuove opere teatrali e musicali, fare della ricerca il primum movens, affrontando il rischio di errori – ma non si dà alcun vero agire, e dunque alcuna vera politica, senza il rischio – e sfidando i gusti consolidati (che spesso sono solo indolenza intellettuale) del pubblico.

4. Da qui la proposta: trasformare gli Assessorati alla Cultura in Assessorati all’Innovazione o alla Ricerca Culturale. E fondamentale, a riguardo, sarà la capacità di avvalersi di manager capaci di reperire fondi.

Le conclusioni, però, che al momento si possono trarre non sono delle più felici. Chi amministra oggi la cultura dimostra di galleggiare, non di navigare. E con nocchieri così privi di experientia alto è il rischio di un naufragio del nostro Paese. Andrea Panzavolta

Da Torino in linea Michele Sequenziaultima modifica: 2011-04-13T14:29:32+02:00da leonedilipari
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