La mostra che ricorda le partenze con le “valigie di cartone”

MSAIJA.jpg“La Sicilia con questa mostra ha fatto un grande investimento: nella carriera consolare non mi è mai capitato di partecipare ad un evento in grado di suscitare così tante emozioni nelle comunità siciliane o americane”, ha esordito così il Console generale d’Italia a New York, Francesco Maria Talò, in occasione del trasferimento a Newark di “Sicilian Crossings”. L’esposizione, inaugurata qualche mese prima nella Grande Mela e precisamente nella cornice più ideale, l’isola-museo di Ellis Island a largo di Manhattan, ex luogo di arrivo e smistamento degli immigrati, ha riscosso grande successo con oltre 46mila presenze. Dopo una lunga “tournèe” in America, tornerà in Sicilia al Castello di Donnafugata in provincia di Ragusa e poi a Messina e Palermo.
“Articolata in sei gallerie, attraversa le varie fasi del flusso migratorio: dalle cause che lo provocarono fino alla perfetta integrazione dei siciliani nella nuova realtà socio-politica”. Si apre così lo speciale a firma di Massimiliano Cavaleri dedicato alla mostra “Sicilian Crossings” e pubblicato sul notiziario on line www.quisicilia.com, promosso dall’Assessorato regionale all’Emigrazione e diretto da Mario Primo Cavaleri.
Spiega l’autore che “prevalentemente due i motivi che tra fine ‘800 e inizio ‘900 spinsero decine di migliaia di famiglie siciliane a lasciare l’Isola per inseguire l’american dream: povertà delle comunità agricole, scarse condizioni lavorative, voglia di riscatto; e poi, l’attrazione della sfida, dell’avventura, ben supportate da una capillare rete di agenti marittimi che con un’efficace promotion seppero coltivare, propagandare e vendere il mito americano”.
Una volta Oltreoceano, i grappoli di nuclei sbarcati dalle singole province diedero vita a “società di mutuo soccorso” che agevolarono i EMIGRAZIONE5.jpgsuccessivi arrivi con assicurazione sul viaggio e sulla vita, anticipazione del biglietto, aiuti economici e garanzie di un lavoro al momento dello sbarco. E poi il ruolo della chiesa, gli usurai del tempo, la preparazione della valigia, i commissariati per l’emigrazione, gli antichi passaporti e atti di espatrio, i giornali come “L’eco dell’immigrazione”, il manuale dell’emigrante con le regole fondamentali, i porti da cui partire e i treni per raggiungerli, le Little Italy e le diverse comunità italiane sparse per gli Usa, come i pozzallesi e vittoriesi a Brooklyn, i siracusani in Connecticut, ecc.
L’evento, nato da un’idea del prof. Marcello Saija, docente di storia delle istituzioni politiche dell’Università di Messina, in raccordo con l’Assessorato regionale al lavoro e immigrazione, e co-sponsorizzato dalla Stony Brook University, EMIGRAZIONE4.jpgdall’ateneo messinese, dall’Osia (Ordine dei figli d’Italia in America), dalla Filicudi Associates del Massachusetts e dalle autorità consolari delle varie città che l’hanno ospitata, è stato curato nel progetto di allestimento dall’architetto Sonia D’Ambra e nel design dalla prof.ssa ing. Laura Saija.
“Sicilian Crossings” ha girato gli Stati Uniti: dopo New York dove è rimasta per tre mesi, Boston nel Massachusets l’ha ospitata nella prestigiosa sede della Public Library su iniziativa del Console generale d’Italia Liborio Stellino.
Particolarmente rilevante la presenza di tanti pescatori siciliani, che costituiscono una fortissima comunità etnica al fine di conservare le tradizioni siciliane. A Waltham l’Order dei Sons of Italy e la Filicudi Society hanno donato al Museo di Salina un violino costruito a Filicudi 120 anni fa e portato in America da un emigrante.
Poi Stony Brook con la folta comunità siciliana di Long Island: uomini e donne che hanno raggiunto discreta posizione sociale e mantengono vive le tradizioni della terra d’origine, partecipando con calore alle attività del Center for Italian Studios, diretto dal prof. Mario Mignone. Questa la schiera di imprenditori, commercianti, professionisti ed artisti che ha finanziato una cattedra di italian-american studies arricchendo il pull di docenti di italianistica dell’ateneo americano, nell’ambito di un progetto di diffusione della lingua italiana, che va sempre più estinguendosi. Qui sono nate le prime ricerche dell’equipe del Dipartimento di Studi internazionali messinese e presentati i volumi con i risultati della ricerca. Kenneth La Valle, senatore primo distretto newyorkese, si è reso interprete dei sentimenti di tutti, consegnando al prof. Saija una targa votata all’unanimità dal Senato dello Stato di New York come riconoscimento per l’attività svolta a favore dei siculo-americani.
Dopo il trasferimento al One Gateway Center di Newark, dove sono confluite le comunità ragusane del Distretto di Paterson e quelle siracusane del Connecticut – un’intera sezione dedicata alle peculiari esperienze delle società di mutuo soccorso di Ragusa e Siracusa; molti EMIGRAZIONE3.jpghanno ritrovato tracce della propria storia familiare -, l’esposizione è proseguita alla volta di Norwich per assolvere ad una delicata missione particolarmente sentita dalla comunità autoctona. In questa cittadina della zona settentrionale dello Stato di New York, tre mila famiglie originarie di Lipari hanno organizzato la vita spirituale e sociale attorno alla Chiesa di San Bartolomeo, costruita volontariamente dai primi liparesi con tipiche tecniche eoliane. Le autorità ecclesiastiche di Syracuse, sede della diocesi, avevano deciso di chiuderla, privilegiando una vicina chiesa cattolica, gestita da irlandesi. La grande pubblicità data dai media alla mostra ha smosso le acque in questa direzione.
A maggio tappa a Miami dove la cerimonia di accoglienza all’Università St Thomas è stata organizzata dalla Federazione dei siciliani di Florida, presieduta da Salvo Mulè, rappresentante delle Confederazione nazionale del Nord America, e dalla Civil League of Italians americans di Fort Laureldale. Durante l’evento d’apertura alla presenza del console Marco Rocca, del vice console Giovanni Turturiello, del presidente Comites di Miami Cesare Sassi e del presidente delle associazioni italiane in Florida Bernardo Petreccia, il Rettore mons. Frankyln Casale ha parlato dei numerosi siciliani in Florida, ripercorrendo la storia recente che ha visto affluire, nel più meridionale degli Stati Uniti, una cospicua colonia di siciliani. In raccordo con l’iniziativa una settimana di seminari scientifici ai quali hanno partecipato oltre al prof. Saija parecchi storici locali.
Una delle serate dedicata alla beneficenza: sono stati raccolti 14mila dollari in favore di Riccardo Pio, bimbo di 4 anni cerebroleso affetto dalla Sindrome di West a causa di una trauma durante la nascita; non parla, non cammina, né regge la testa e si alimenta tramite un sondino gastrico.
All’evento “Sicilian Crossings” nei diversi appuntamenti statunitensi hanno partecipato illustri personalità del mondo accademico, sociale, politico fra cui l’ex assessore regionale al Lavoro Santi Formica, l’ex ministro Enrico La Loggia; Thomas Di Napoli, State Controller (terza carica EMIGRAZIONE1.jpgdello Stato di New York); Paul di Gaetano, leader di maggioranza in New Jersey; Richard Balducci, senatore del Connecticut; Joseph SciameShirley Sturm Kenny, rettore di Stony Brook; Giuseppe Mioli, consigliere regionale del Connecticut; la scrittrice Carol Bonomo; Andrea Barbaria, console di Newark; i presidenti delle Società ragusane di mutuo soccorso Giuseppe Ferraro, Frank Caramagna; Sebastiano D’Angelo, presidente dell’associazione “Ragusani nel mondo”; Bernardo Margolis, direttore Public Library di Boston; David Drucker, direttore museo Chenango County Historical Society; i docenti John Alcorn (Trinity College di Hart Ford), Stanislao Pugliese (Hofstra University), Peter Carravetta (Stony Brook), Maria Taranto e Salvatore La Gumina (Nassau Community College); Teresa Fiore (University San Francisco) e Gaetano Cipolla (St. John’s University).
Numerosi esperti che hanno dato importante contribuiti al progetto, col fine di raccontare odissee di uomini, donne e bambini: dall’angoscia della scelta di emigrare, allo struggente addio sui moli, alle peripezie dei bastimenti che solcavano l’Oceano raramente amico e calmo.
C’è voluta una buona dose di coraggio a lasciare radici, affetti, la propria terra per trapiantarsi in un continente di cui si sapeva solo ciò che facevano dire i “propagandieri” marittimi che ricevevano una congrua provvigione su ogni biglietto venduto così da arrivare a far credere che in America alcune strade erano lastricate d’oro. Un addio che, se non è stato fortunato per tutti, ha certamente rappresentato per molti il riscatto dalla povertà e nel tempo, opportunità ancora più incoraggianti per i figli.
Oggi siamo alla terza e alla quarta generazione e, se rimane sempre forte per gli adulti il richiamo della terra d’origine, si va perdendo tra i giovani persino la conoscenza della lingua italiana, tranciando inevitabilmente un legame finora indissolubile e che ha spinto molti a tornare per la vecchiaia al paese natio.
La storia si ripete, ce lo insegna Polibio con l’anaciclosi; ce lo ricorda Vico con corsi e ricorsi storici; e presenta caratteri di analogia perché è EMIGRAZIONE.jpgl’uomo al centro degli avvenimenti, con le sue aspirazioni, i suoi bisogni, la voglia di crescere e migliorare. Una volta eravamo noi gli “albanesi” e adesso ci troviamo a fare i conti con le migliaia di immigrati che approdano a Lampedusa o sulle coste della Trinacria, per inseguire quel sogno dei tanti italiani del Primo Novecento.
Oggi la popolazione italiana è pari alla collettività di emigrati sparsi all’estero fra l’800 e il ‘900, circa 60 milioni: un’altra Italia nel mondo. Ellis Island, ad esempio, ne accolse circa 17 milioni, tanto da dar vita al più grande muro di nomi del mondo, il famoso Wall of Honor. La storia raccontata nella mostra è un percorso fotografico siculo-americano, che unifica idealmente milioni di viaggi. Che non furono di “dissolutezze” e di piacere alla Gustave Flaubert, ma di speranza e riscatto. della Comunità per l’eredità culturale italiana;

 

La mostra che ricorda le partenze con le “valigie di cartone”ultima modifica: 2009-05-17T08:20:00+02:00da leonedilipari
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