«La prima sera che arrivi ti lavi il cervello». Esordisce così il presidente di Gambero Rosso appena gli si
chiede di Filicudi. «La nostra casa è la più alta, a Val di Chiesa» continua raccontando. Il forte accento romano sembra rilassarsi al pensiero dell’isola. «Mi piace salutare Filicudi salendola pian piano in mezzo alle felci». È per questa natura calma e selvaggia che il presidente del gruppo editoriale Artribune ha deciso di lasciare la mondanità di Panarea.
«È un’isola di terra dove i miei figli, cresciuti, continuano a tornare». Inutile strappare il nome di un ristorante a uno che ha ri-mappato l’Italia («Per la mia posizione non posso schierarmi, ma non lo farei comunque perché in queste isole si è sempre ospiti, accolti, ogni anno dopo 11 mesi di attesa»). «Però posso dire che Filicudi era l’orto del Regno di Napoli, interamente coltivata a ortaggi. Qui ci sono moltissime erbe come il rapudo, curioso vegetale con una foglia sola». L’isola verde ha solo 60mila anni. E una Biennalina d’arte che ospita dai giovani autori a Giovanni Gastel.
«Il problema rimane la difficoltà dei trasporti per raggiungerla» osserva Paolo Cuccia che qui trascorre weekend primaverili e tre settimane in agosto «a praticare lo sport che amo di più: la lettura. Esco presto la mattina, e in due o tre giorni termino tomi sulla Guerra Fredda». Dopo i bagni in acqua e nella storia resta da raggiungere il miglior osservatorio per il tramonto: «Si porti le scarpe da montagna e inizi da Seccagni. Dopo due ore di cammino le si apre il cuore per il profilo di 74 metri della Canna, una formazione lavica che spunta dal mare».