Da Padova in linea Antonio Famularo. Appunti di Viaggio

afamularo.jpgdi Antonio Famularo

“Ma cosa cantavano mai le Sirene?”… E’ la domanda che mi fece nel corso di una breve e piacevole 
conversazione,  nella soleggiata mattinata di  Ferragosto, una splendida 40enne  romana,  impiegata in 
una banca, mentre affascinati osservavamo entrambi,  unici due visitatori, i reperti del piccolo  Museo 
Archeologico a Filicudi. Lei aveva dei modi affabili, una  gestualità aggraziata, dei toni garbati e uno 
sguardo intenso e maturo; era in vacanza su un caicco  alla fonda nella baia antistante ed era scesa al 
porto scoprendo, come me, quel minuscolo ‘ambiente’ etnografico.antonio.jpg
Mia Cara Euterpe, come dissi a quella donna, pur nella sua spontanea ovvietà quella domanda non era nuova  essendo stata posta tanto tempo prima dall’Imperatore Tiberio, secondo una citazione di Svetonio: “Ma che cosa mai solevano cantare queste Sirene?” Le spiegai che, pur non avendole mai
viste, tanti anni fa, in una placida notte d’estate, mentre si era in prossimità degli isolotti di Panarea, dal ponte di una goletta avevo udito il loro canto; grazie alle mie conoscenze potei spiegarle in  termini antonio1.jpgmusicali la natura di quel canto: era di tono basso e alquanto lontano, una sorta di canto ‘naturale’ lo si potrebbe definire, che mi faceva pensare all’onda e al vento. Ma non era certo né l’una né l’altro, giacché in esso vi era una qualità umana, inquietante ed evocativa; non riuscivo ad afferrare le parole, né alcuna melodia particolare; in esso vi era una sorta di qualità astratta; in qualche modo intuivo che
fosse un canto femminile perché nessuna voce d’uomo avrebbe mai potuto produrre quel suono fioco,
dolce e suadente, quasi vellutato. Ripensandoci successivamente trovai una espressione che sembrava
lo descrivesse con esattezza: ‘Immemore’.  Le spiegai che, contrariamente al luogo comune di esaltare la bellezza di una donna definendola una ‘Sirena’, questa ‘similitudine’ in realtà sarebbe tutto l’opposto 
di ciò che un ‘ complimento’ dovrebbe significare! Perché nella mitologia greca le Sirene avevano il
antonio2.jpgviso di una donna ma il corpo di un uccello rapace! E non potrebbe essere diversamente, dato che le loro vittime non muoiono come si muore comunemente, ma per un lento e graduale degrado: esse deperiscono finché, come narra Omero, “sull’ossa le carni si disfano.”  La Sirena metà donna e metà pesce è un mito di origine Bretone e trovò la sua diffusione dal Medioevo in poi. Oggi nelle Eolie, anche a Filicudi, vi  sono insegne di locali, nonché imbarcazioni, con nomi o figure di questo tipo, ma sono estranee  al retaggio storico- culturale di quella che un tempo fu la ‘Magna Grecia’. E dal mio punto di vista non sarebbe certo un omaggio alla bellezza e alla grazia di una donna definirla una… ‘sirena’,
sia che si tatti di quella ‘greca’ o di quella ‘bretone’! 
Filicudi, mia Cara, non è per nulla ‘selvaggia’, è invece di una rara bellezza ‘naturale’, così immutata nella forza  evocativa ed evocatrice del suo fascino! Al porto si percepiva un clima di serena socialità ed era bello osservare la  gente intenta a inventarsi la giornata per renderla spensierata. E’ stato pure così piacevole passeggiare  lungo la strada a ridosso della spiaggia e tuffarsi con gli occhi nelle trasparenze di quel mare.
Erano lì, Euterpe,  da sempre, quei “sassi  (di cui ti parlavo… Ti ricordi?)  che narrano la leggenda di una bella  Principessa  arrivata dal mare, giunta col vento che spira da Oriente”. A bordo di un taxi sono andato a Pecorini a mare ed è stato lì che ho voluto trascorrere il resto della mattinata. Quanta limpidezza tra mare e cielo, e quanta serenità interiore, mia Musa, in quelle atmosfere dove anche il tempo, nella sua presunta ‘curvatura’, sembrava quasi lento  nel suo scorrere, e i miei occhi che non si saziavano di ‘vedere’, e quanta poesia e armonia vi si poteva scorgere dovunque si posasse il mio sguardo. E allora mi gustai la passeggiata, aggirandomi tra le poche case sparse, fin dove finisce la strada e oltre ci si può solo perdere con i pensieri, la memoria e l’immaginazione. Poi andai a sedermi in una panchina, su un lato del  molo, e immerso in  una dimensione di spazi senza confini, lontano da tutto e da tutti, solo con me stesso,  aprii il mio ‘brogliaccio’ e ripresi a scrivere. Scambiai qualche parola con un signore che noleggiava delle barche e più che di me sembrava incuriosito dal fatto che ancora vi fosse qualcuno intento a scrivere, nero su bianco, ‘come si faceva una volta’! Non potei non sorridere quando da un taxi scese una giovane coppia di turisti coi loro grossi ‘trolley’ e vederli poi imbarcarsi col bagaglio al seguito diretti chi sa dove… Alle 13,15 risalii su un taxi e ritornai al porto. Lungo i tornanti della risalita mi soffermai a guardare i muri a secco che caratterizzavano, più delle altre, quella contrada: pietre su pietre, sassi incastonati con sassi, innumerevoli sassi, come parte integrante del retaggio e della memoria storia, o monumento alla  tenacia di una comunità, 
un tempo più numerosa,  che aveva lottato per ridurre le asperità dell’Isola e della vita…  Pietre su pietre, sassi su sassi, pietre sopra  pietre, giorno dopo giorno, contando i giorni e sottraendoli a quelli che restano, per vivere, distrarsi, o forse anche sopravvivere, come sotto certi aspetti aveva fatto anche Ivan Denisovic.   
Con largo anticipo sull’arrivo della ‘Lippi’ proveniente da Alicudi, mi son seduto al Bar Hippocampus e mi son gustato una deliziosa e fragrante granita al limone e nella piacevole atmosfera che permeava quel  locale ho continuato a scrivere sul mio ‘brogliaccio’. Andando  via, dissi ad una signora anziana alla cassa, molto affabile e gentile, che avevo gradito e apprezzato la  ‘sua’ granita; mi disse: “Grazie… la facciamo coi limoni di Filicudi!”  Poco dopo giunse la nave, salii a bordo, e dal ponte, con lo sguardo rivolto verso ‘Zucco Grande’ e la lontana sommità dell’isola, e poi verso il profilo inconfondibile del promontorio di ‘Capo Graziano’, mi sono perso e ritrovato nella  immensità di quegli spazi e nella vastità di quel mare. Mentre in lontananza vedevo l’approssimarsi di Salina, standomene con gli occhi socchiusi percepivo nell’aria effluvi salmastri e refoli di brezza sui capelli, e percepivo la tua presenza, mia adorabile Musa. Poi sentii il cicalino di un messaggio in arrivo e lo lessi: era una mia giovane collega che mi diceva “Caro Antonio! Eccomi, tornata dalle ferie con la mia bellissima nipotina e ora in partenza di nuovo. Quanto sarà bella Salina? Ti auguro di passare i giorni che ti aspettavi prima di partire in famiglia, tra gli amici, nei luoghi del tuo essere! Un caro abbraccio!  C. B. “
La ringraziai per avermi pensato, le dissi che le mie vacanze procedevano bene e che in quel momento ero in navigazione nel mare eoliano… Niente di cui preoccuparti, mia Euterpe, la tua costante presenza, il tuo essere una continua fonte di ispirazione, mi sono divenuti più cari dell’amore temporaneo, effimero e illusorio delle donne.
( 4 – Continua )
Da Padova in linea Antonio Famularo. Appunti di Viaggioultima modifica: 2013-10-14T08:50:00+02:00da leonedilipari
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